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Native advertising, la pubblicità rivoluzionaria. O no?

NYTIMES

E’ ufficiale, la Native advertising è il fenomeno che rivoluzionerà il panorama dell’editoria. Fino a qualche settimana fa era un trend in crescita nel mercato pubblicitario ma gli studi di studi di Yahoo e Enders (fonte) proiettano la pubblicità nativa come il formato pubblicitario più diffuso in Europa nel 2020. (+156%)

Ma cos’è questo nuovo modello pubblicitario sul quale le aziende investono sempre di più e i giornalisti, piegati dalla crisi dell’editoria, ripongono le proprie speranze di revenue?

La Native advertising è una forma pubblicitaria che assume l’aspetto dei contenuti del media dal quale è ospitata e si presenta come un contenuto del tutto coerente al contesto e le aspettative del pubblico. In effetti, la pubblicità nativa sviluppa il modello sempre esistito dei publiredazionali, dei contenuti sponsorizzati, i paid posts fino gli eventi sponsorizzati.

Pubblicità nativa non è più un’interruzione del contenuto ma è lo stesso contenuto che viene creato grazie al supporto di un brand che in questo modo dimostra di tenere realmente alla promozione di un certo tema.”

mashable-mastercard-native

 Un esempio?  Mastercard ha sviluppato il contenuto per la testata Mashable sottoforma di inchiesta con molti contenuti multimediali. Una ricerca su come le persone utilizzano i dispositivi mobile e su come questi stanno cambiando la nostra vita in cui l’unico riferimento all’azienda è una sezione, all’inizio del post, in cui si parla del sistema di pagamento digitale di Mastercard.

 

 

Un modello pubblicitario “complesso”

Per gli inserzionisti questo formato è più complesso da gestire rispetto i classici spot e banner che “esplodono” durante la navigazione, perché rende necessaria la capacità di creare valore senza imporsi al pubblico ma aggiungendo valore. La pubblicità nativa sposta il focus sulla capacità delle aziende di capire gli utenti e il loro linguaggio, di individuare il media che maggiormente ha acquisito la stima e la credibilità di questo pubblico e trovare la “storia giusta” da raccontare per generare interesse sul proprio tema ancor prima che sul proprio prodotto.

Per gli editori  è una grande opportunità (da 5,2 miliardi di euro ai 13,2 miliardi del 2020) ma anche una sfida; essere in grado di gestire la quantità e qualità dei contenuti senza mettere in discussione l’autorevolezza e la reputazione del proprio prodotto editoriale.

Per l’editoria tecnica e specializzata non c’è niente di rivoluzionario nel lasciare parlare le aziende.

Da sempre la stampa B2B è depositaria delle esigenze informative di un pubblico professionale altamente specializzato e per sua natura ricopre quindi il ruolo di mediatore culturale tra aziende e lettori. Per tutelare la propria autorevolezza editoriale, i giornalisti specializzati collaborano con le aziende del settore nella creazione dei contenuti in un rapporto di reciproca fiducia che continua a garantire l’equilibrio e la qualità del servizio informativo di tutte le principali testate specializzate.

Vedremo cosa succederà in ambito consumer, ma certamente secondo Yahoo e Enders di pubblicità nativa continueremo a sentirne parlare.

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· 14 marzo 2016